L'Ulivo

Olea Europea

Tesoro tramandato
Leivi è "il paese dell'Olio"

Quella dell'Ulivo è, per ragioni storiche, la coltura territorialmente più estesa. A Leivi infatti, come in buona parte della Liguria, ogni collina con una buona esposizione al sole è stata, nel corso dei secoli, piantumata a ulivi e le nostre non fanno certo eccezione: come nel resto del paese la cultivar Lavagnina, da cui ricaviamo olive da olio, arriva ad occupare, anche in consociazione con altre colture, quasi l'80% della superficie coltivabile.

Trecento e rotti anni e non sentirli
Il vigore del legno e la generosità del frutto

La pianta d'ulivo è un sempreverde che vegeta continuamente ma cresce con lentezza e la cui produttività non risente dell'invecchiamento.

I nostri uliveti sono costituiti quasi per intero da piante secolari sottoposte ad interventi di riforma, alcuni ancora in corso.

Come l'araba fenice
E' in grado di resistere alla siccità e agli incendi

L'Ulivo reagisce alle avversità che può incontrare nel territorio di cui è tipico riducendo al minimo ogni attività produttiva e riservando alla sopravvivenza ogni risorsa. A gelo e siccità sacrifica prima i frutti e poi l'apparato aereo, ma il più delle volte riesce a rigettare dalla propria ceppaia ed avviare un nuovo ciclo vitale.

Gli anziani del paese raccontano di alberi sviluppatisi da rami tagliati e conficcati nel terreno per essere adoperati come pali per la vigna.
(e allora chissà che non riesca a tollerare persino i potatori più maldestri!)

Dove all'ulivo si abbraccia la vite*
"Dono di Atena agli uomini", l'ulivo ha migrato per mano dei Cretesi in tutto il mediterraneo, integrandosi praticamente ovunque con colture preesistenti e successive

In Liguria, tradizionamente, la pianta d’ulivo - che per natura ha un portamento a cespuglio - veniva allevata a vaso alberato e lasciata sviluppare enormemente, fino ad altezze di oltre 15 metri.
Tale pratica agricola, in un’economia costretta a estrinsecarsi quasi per intero in un fazzoletto di terra, era né più né meno questione di vita o di morte. Occorreva infatti che l’ulivo guadagnasse il cielo per lasciar posto, a terra, a tutte le altre colture ed in particolare a quanto, di indispensabile, non sempre poteva essere importato: soprattutto il frumento, quindi, ma anche la vite (che fino ai primi anni del ‘900 veniva in genere fatta arrampicare sugli ulivi), le piante aromatiche, il basilico, il prezzemolo…
Forse, in futturo, sarà nuovamente necessario fare così, ma in questo momento storico no: i costi di produzione, in Liguria, sono già molto alti ed è necessario razionalizzare il più possibile l’uso del suolo ed agevolare la gestione della chioma. Inoltre - per la prima volta dopo secoli - occorre strappare all’incolto quanta più terra possibile per contenere il rischio idrogeologico.

Per questa e per tante altre ragioni abbiamo fatto la scelta dolorosissima di riformare drasticamente gli uliveti per poi accompagnarli ad acquisire una forma di allevamento tutta nuova. Ascoltandoli e abbassando il capo a nostra volta per imparare da loro speranza e resilienza.

* Fabrizio De André, “Il sogno di Maria”, in “La Buona Novella”, 1970 [video] .